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Carys Rainn e Paxton Cole

 

Carys' hands, baby with anencephaly

Cuore spezzato

Di Keri Harris Kitchen, martedì 21 dicembre 2010, ore 23.06

Prima di tutto, grazie per le preghiere. Oggi abbiamo saputo che mentre un bambino è perfettamente sano, l'altro è davvero affetto da anencefalia... Il che vuol dire che lui o lei non sopravviverà dopo la nascita. Dire che ci si è spezzato il cuore è un eufemismo. Sono grata di avere un solido sistema di supporto e credo veramente a quello che dice la Bibbia, cioè che Dio si adopera per il bene di quelli che Lo amano. Non capiamo, sappiamo di aver fatto tutto quello che potevamo per avere dei figli sani. Fortunatamente la fede non richiede comprensione. Ci serve solo un po' di tempo.


Fin da quando Aaron e io diventammo una coppia, le nostre mamme si misero a scherzare sui gemelli dai capelli rossi che avremmo messo al mondo. Nel 2009 decidemmo che eravamo pronti per creare una famiglia. Volevamo un figlio. Pregammo per averlo. Io, in cuor mio, speravo di avere dei gemelli.

Dopo quasi un anno di attese e speranze, vedemmo la linea tenue del test di gravidanza il 19 settembre 2010. Era così poco definita che Aaron mi chiese se ne fossi sicura, se il test fosse veramente positivo. "Certo! La linea c'è!". Giusto per sicurezza (e per convincerlo) rifeci il test il giorno successivo. La linea uscì molto più marcata. Non c'erano dubbi.

Da quel giorno caddi nel nervosismo, avevo sempre paura che qualcosa andasse storto. Forse era Dio che cercava di prepararmi a quello che sarebbe successo. Sapevo, per sentito dire, quanto è facile avere un aborto spontaneo. Decisi persino di fare le analisi del sangue a 6 settimane, per verificare i livelli di HCG prima ancora della prima ecografia. I livelli erano normali, tendenti verso l'alto.

Finalmente arrivò il 27 ottobre, la data dell'ecografia. Fu bellissimo vedere Paxton sullo schermo. Sentimmo il battito, eravamo estasiati. Poi il medico mi chiese che sintomi avessi avuto fino ad allora. Gli dissi che avevo solo un po' di bruciore di stomaco, oltre a sentirmi stanca. Mi chiese se accusassi mal di testa e dissi "Si, un po'". Rispose, "Ora ti do un mal di testa più grande... Lì dentro sono in due". Di getto risposi, "Davvero?". E effettivamente, nascosta dietro al piccolo Paxton, c'era la nostra dolce Carys.

Eravamo sopraffatti dalle emozioni. Eravamo eccitati, un po' spaventati, divertiti, emozionati, grati... Potrei andare avanti con la lista, ma non sarei comunque in grado di rappresentare tutto quello che sentivamo in quel momento. Chiamai i miei genitori e quando dissi a mio padre, "Il battito è regolare... Entrambi i battiti lo sono" lui si mostrò felice, ma non quanto mi sarei aspettata. Subito dopo aver attaccato mia mamma richiamò ridendo. Papà pensava stessi scherzando. Pensava parlassi dei gemelli immaginari di cui si parlava da sempre. Eravamo tutti felicissimi e già innamorati dei due preziosi gemellini. Ci avevano già cambiato la vita.

Arrivammo a dicembre. Avevamo appena superato il primo trimestre e iniziai a rilassarmi un po', a preoccuparmi meno del rischio di un aborto. Il 15 dicembre però le mie paure si ripresentarono più potenti che mai, e a ragione. Verso la fine della nostra ecografia di routine delle 16 settimane, il medico assunse un'aria accigliata. Ci disse che forse era un problema di contrasto, ma non riusciva a vedere il cranio del gemello b nella sua interezza. Ci parlò dell'anencefalia e nella mia mente cercai di dare un senso a quanto stavo sentendo. Speravo comunque che fosse un problema tecnico. Il medico anticipò l'appuntamento con lo specialista ad alto rischio da gennaio alla settimana successiva (era comunque previsto trattandosi di una gravidanza gemellare).

Quella settimana piansi e pregai come mai prima. Faccio fatica anche ora a ripensare alle sensazioni di ansia e di panico che mi circondavano. Solo pensandoci, tutte quelle emozioni crude tornano indietro e minacciano di inghiottirmi.

Supplicai Dio di non portarcela via. Pregai che fosse sana. Sapevo però che avrei dovuto accettare il progetto di Dio qualunque fosse stato. Sapevo che non ci avrebbe lasciati soli, ma l'idea di dover affrontare il peggio era insostenibile. Dio mi diede pace per permettermi di affrontare quella settimana di limbo, in attesa di scoprire se mia figlia sarebbe sopravvissuta.

In quel periodo feci delle ricerche sull'anencefalia. Cercai in internet "diagnosi errata di anencefalia" sperando di trovare un po' di conforto ma scoprii che la diagnosi di solito non lascia adito a dubbi. Piansi ancora e pregai più intensamente (se fosse effettivamente possibile). Sapevo che anche se la nostra bimba avesse avuto l'anencefalia, Dio avrebbe potuto guarirla, anche se sembrava impossibile. Dopotutto, era stato Lui a crearla così. Avrebbe potuto guarirla.

Il 21 dicembre ci recammo dallo specialista a Lexington, Kentucky, pregando intensamente. L'attesa fu dura ma finalmente mi fecero l'ecografia. Vedemmo per primo Paxton, che era perfetto. Le misure erano corrette e non c'era nulla che non andasse. Quando ci concentrammo sulla dolce "bimba B", capii prima ancora che i medici dissero alcunché. Il difetto era lampante. Era ovvio che la nostra preziosa bimba non si fosse sviluppata del tutto. Speravo comunque di sbagliarmi. Tuttavia, al termine dell'ecografia, il medico disse "Si, la gemella b è anencefalica". Allora crollai. Aaron corse al mio fianco e cercò di confortarmi. Riuscivo solo a pensare, "Voglio i miei bambini!". Penso di averlo ripetuto più volte, tra i singhiozzi. Il medico, con voce calma, ci spiegò cosa aspettarci. Sinceramente non ricordo tutto quello che disse. Ricordo che ci parlò dell'opzione di un "aborto selettivo". Rimasi zitta ma scossi la testa a esprimere, tra le lacrime, un netto rifiuto. Aaron parlò per me e disse al medico che per noi non era un'opzione. Il medico parve sollevato.

I giorni successivi alla diagnosi di Carys sono un po' confusi nella mia mente. A volte mi sentivo come anestetizzata, ma subito dopo tornava la disperazione. Ero tentata da comportamenti autodistruttivi, ma avevo anche un gemello sano a cui pensare, quindi non presi in considerazione nulla del genere. Volevo mollare, ma la realtà era che non potevo scappare da nessuna parte. Questo non significa che non lo desiderassi. Una fuga sarebbe stata un enorme sollievo.

Ringraziai Dio per il clima gelido e nevoso che caratterizzò il Natale e le settimane successive. Mi forniva una scusa per evitare i clienti al lavoro e, a volte, le condizioni delle strade mi rendevano del tutto impossibile raggiungere l'ufficio. Faccio la psicologa e probabilmente le mie sedute non servivano a molto, visto che il sentimento che mi pervadeva era la devastazione. Decisi di non dire nulla ai clienti in riabilitazione. Le loro malattie mentali, croniche e gravi, non avrebbero permesso loro di comprendere il fatto che mia figlia, viva nella mia pancia, non sarebbe stata in grado di sopravvivere fuori. Anche per una persona mentalmente stabile non è un concetto semplice. Lo svantaggio di non dire nulla fu che nei mesi successivi i clienti mi chiedevano spesso, con le migliori intenzioni, come stessero i bimbi. Mi dicevano che i gemelli mi avrebbero tenuta ben impegnata. Chiedevano se conoscessi il sesso, e altre domande simili. Non volevo trasmettere loro il macigno della diagnosi, quindi non dissi nulla. Le loro domande e i loro commenti mi facevano male.

Con il passare del tempo la pancia divenne evidente e le persone mi chiedevano spesso cose come "Sai se è maschio o femmina?". Ecco, questa era una delle domande peggiori. Immagino di essere sembrata pazza, ma spesso non sapevo cosa rispondere.

Se rispondevo "Un maschio e una femmina" e null'altro, le persone iniziavano a parlare di quanto fosse eccitante avere dei gemelli, o si sentivano in dovere di dirmi quanto fosse difficile. Quello che non sapevano era che quelle difficoltà io le desideravo tantissimo. Fin da prima di sapere di aspettare due gemelli. Non sapevano quanto mi facevano male con quelle domande. L'espressione "Come buttare sale su una ferita" mi sembra appropriata. Probabilmente si chiedevano perché non sembrassi felice. Stavo male.

Se rispondevo che aspettavo un maschio e una femmina, ma che la femmina non ce l'avrebbe fatta, poi mi sentivo in colpa per il peso che stavo trasmettendo, come a volerli far pentire di averlo chiesto. Mi sentivo una guastafeste. Niente raggela l'atmosfera come la notizia di un bebè destinato alla morte. Inoltre, la reazione era sempre la stessa: "Ma ne sono proprio sicuri?". Spesso poi seguivano commenti, del tutto privi di malizia, sul fatto che i medici spesso si sbagliano, o sul fatto che Dio può tutto. Avevo osservato l'anencefalia con i miei occhi, sapevo che i medici non si erano sbagliati. Per quanto riguarda l'onnipotenza di Dio, ne ero fermamente convinta, ma sentivo anche che alle mie suppliche di guarigione aveva risposto con un inequivocabile "no". Credevo che Dio mi stesse dicendo chiaramente che aveva altri piani per la nostra bimba, e che la aveva creata proprio come intendeva che fosse. Non si era sbagliato.

Come terza opzione, alla domanda potevo rispondere che aspettavo un maschietto. Sarebbe stato facile evitare di parlare di lei ed evitare i commenti poco delicati della gente. In realtà non sono mai riuscita a rispondere così. Adoravo entrambi i miei bimbi da quando avevo saputo di portarli in grembo. Non potevo fingere che lei non esistesse.

è assurdo come un istante abbia cambiato ogni cosa. Da quando udii le devastanti parole "Si, la gemella b è anencefalica", tante cose persero importanza. Non vivevo più nella felice ignoranza di una gravidanza fisiologica. La cameretta che progettavo da mesi non contava più niente. Non volevo neanche entrarci. Non volevo ordinare la culla. Riuscivo solo a pensare al fatto che ne avrei volute ordinare due.

Sembrava sbagliato preparare la cameretta per il bimbo e non per la bimba. Lei era lì con me. Era viva e si muoveva. Che razza di madre poteva ignorarla e comprare l'occorrente per un bimbo solo? Così, per diverso tempo, non comprai nulla per nessuno dei due. Era una lotta continua. Appena mi sentivo felice e preparavo qualcosa per l'arrivo di Paxton, mi sentivo scorretta verso Carys. Se, invece, non preparavo nulla per Paxton per evitare di trascurare Carys, mi sentivo scorretta nei confronti di Paxton. Ero così combattuta. Era tutto così sbagliato.

Pian piano iniziai a lavorare alla cameretta. Dipinsi le pareti. Piansi. Fui grata di avere l'aiuto di mia mamma, mia suocera e una mia amica. Non lavorare da sola fu una bella distrazione.

Avevamo molto supporto. Ci arrivarono tantissimi messaggi. Ricevetti persino una lettera da uno sconosciuto, che aveva sentito la nostra storia. Un amico fotografo guidò per più di cinque ore per offrirmi un servizio fotografico di maternità qualche settimana prima del baby shower. Insistette per farlo. Avevamo già capito l'impatto che Carys aveva avuto sul prossimo. Attirava l'attenzione senza dire una parola.

La famiglia e gli amici avevano insistito per organizzare il baby shower. All'inizio io non volevo. Non credevo fosse possibile celebrare la nascita di un bambino sapendo che l'altro non ce l'avrebbe fatta. Non mi andava di festeggiare, per quanto fossi grata per entrambi i bimbi. Poi capii che il baby shower non era per noi. Amici e parenti si sentivano impotenti, proprio come noi. Organizzare un baby shower era qualcosa di tangibile che potevano fare per noi, quindi alla fine accettai.

Fu probabilmente il baby shower più bello ed elaborato che avessi mai visto. Fecero le cose in grande, decorando tutto a tema "Pioggia d'amore", con fiori e ombrellini (la pioggia era diventata il tema della gravidanza; avevo anche posato per le foto della maternità con l'ombrello). Mi colpii il fatto che il baby shower racchiudeva in sé tutti i settori della mia vita. C'erano i colleghi, gli amici di scuola, del liceo, dell'università, membri della nostra congregazione conosciuti nel corso degli anni. Erano tutti lì per darci la nostra "pioggia d'amore". Che esperienza forte. Ancora mi sorprende il potere che i nostri bimbi avevano sulla comunità, prima ancora di essere nati.

La sera del baby shower, mentre uscivo dalla chiesta, Carys si mosse. Si era mossa spesso durante la gravidanza, ma questa volta fu diverso. Mia mamma la vide muoversi dall'altra parte della stanza. Mia cognata, accanto a me, sentì il movimento. Non so cosa Carys stesse facendo lì dentro, ma di sicuro lo faceva con enfasi. Per il resto della serata mi fece male la pancia. Di sicuro Carys non voleva passare inosservata!

Nove giorni dopo, lunedì 18 aprile, andai a fare la visita e l'ecografia delle 34 settimane. A un certo punto, durante l'ecografia, il tecnico disse, "Lo vedete anche voi?". Nello schermo, l'immagine in 4D mostrava Carys che baciava la fronte del fratello. Fu commovente. Quella fu la nostra ultima ecografia. Il medico mi disse, con voce calma, che mi avrebbe trasferito in sala parto. Ero già dilatata di 4 cm e avevo le contrazioni, anche se non sentivo nulla. Qualche giorno prima avevo sentito un po' di mal di schiena e mi ero chiesta se fossero i prodromi del travaglio. Ero uscita prima dal lavoro, ma dopo un po' di riposo mi ero sentita meglio e non avevo avuto più dolori.

Mentre mi recavo in sala parto fui travolta da un torrente di emozioni. Avevamo scoperto pochi giorni prima che perché Carys potesse donare i tessuti saremmo dovuti arrivare a 36 settimane. Ero delusa, non ce l'avremmo mai fatta. Avevamo già deciso di donare le valvole cardiache di Carys dopo la sua morte, sperando di poter aiutare un'altra famiglia a salvare il loro bimbo. Ero delusa e ferita. Ero felice di conoscere finalmente i miei bimbi, ma avevo paura dell'ignoto. Ero sicura che Dio ci avrebbe fornito quello di cui avevamo bisogno, ma tremavo all'idea di dover dire addio a Carys.

Mi fecero delle iniezioni di steroidi per favorire lo sviluppo polmonare, e mi rasserenai rispetto alla salute di Paxton. Le contrazioni (che, a 5 cm, ancora non sentivo) furono tenute a bada grazie a farmaci in endovena. Quando divenne palese che non sarei tornata a casa fino al parto, fissammo il cesareo per giovedì 21. Passai le giornate tra monitoraggi e riposo.

La sera prima del cesareo, il mio nipotino di 6 settimane venne ricoverato nel mio stesso ospedale per via di un'infezione respiratoria. Fu poi trasferito in una clinica vicina dotata di terapia intensiva pediatrica. Eravamo tutti al limite. Il mio medico arrivò dopo la mezzanotte per pregare insieme a noi. Poco dopo arrivò un'infermiera per cambiarmi la flebo, che stava infiltrando. Dopo due tentativi e una vena rotta in ogni mano, chiamò altre colleghe in aiuto. Mi ruppero un'altra vena prima di piazzare la flebo nella piega del gomito.

Ero esausta e stavo male, fisicamente ed emotivamente. Stavo già trattenendo le lacrime e riuscivo a pensare solo al fatto che non ero in grado di piegare il braccio: come avrei fatto a tenere in braccio i miei bimbi per il poco tempo che avrei avuto a disposizione? Scoppiai a piangere. Un'infermiera, credendo di essere di aiuto, iniziò a chiacchierare sui bimbi. Singhiozzai ancora più forte.

Non ebbi mai la possibilità di provare la gioia "normale" di una neomamma impaziente di conoscere il suo bimbo. Il parto può essere spaventoso anche in circostanze normali; io mi ritrovai travolta da tutte le emozioni che avevo provato nei 5 mesi precedenti, tutte insieme. Lo shock e il panico della diagnosi, la disperazione delle preghiere accoccolata sul pavimento del bagno, la paura di dire addio, il dolore per tutte le prime volte che lei non avrebbe mai vissuto, la rabbia nel vedere madri a cui non importava dei loro figli, il senso di colpa per la gioia rubata a Paxton, la felicità di averli entrambi con me, la paura della solitudine dopo il distacco... Così tante emozioni così forti, tutte insieme. Mi dispiaceva per le infermiere, che cercavano di essere d'aiuto. Mi dispiaceva per mio marito, disperato quanto me. Sapevo quanto gli facesse male vedermi così distrutta, aggiungevo dolore alla sua pena. Ma non potevo farci niente. Ero impotente.

Le infermiere si offrirono di chiamare il medico perché mi desse qualcosa per dormire. Dissi di no. Era venuto in stanza verso le 4 del mattino precedente, e poi era tornato dopo mezzanotte per controllare come stavo prima di tornare a casa. Il cesareo era fissato quella mattina, presto. Doveva essere stanchissimo. Alla fine mi addormentai. L'infermiera non mi attaccò il monitoraggio, preferì lasciarmi dormire: sapeva quanto ne avessi bisogno. Mi svegliai il mattino dopo in mezzo ai preparativi per l'operazione. La mia famiglia venne a salutarmi. Emotivamente mi sentivo meglio, anche se debole. Riuscii a mantenere la calma per quasi tutto il tempo.

Aaron rimase al mio fianco quanto poté. Era tenero e amorevole, con me e con i bambini. Versai ancora alcune lacrime con l'avvicinarsi del momento, ma in silenzio. Mi portarono in sala operatoria e l'anestesista mi fece la spinale. Mentre la parte inferiore del mio corpo perdeva sensibilità, mio marito mi tenne la mano. Sembrava che un senso di pace fosse entrato nella stanza. Ne ero certa. Sapevo che Dio avrebbe mandato lo Spirito Santo a darci conforto, e così fu.

Paxton nacque alle 8.19. I suoi strilli erano commoventi. Il medico me lo mostrò. Era perfetto. Lo pulirono e poi lo portarono in TIN per gli esami. Due minuti dopo, con un getto abbondante del liquido amniotico che riempiva il suo sacco, arrivò Carys. Presto udii, "Sta cercando di piangere". La pulirono velocemente e me la poggiarono sul petto, dove rimase mentre mi ricucivano. Era bellissima. Sembrerà strano a chi non c'era, ma era perfetta.

Mentre ammiravamo il viso di nostra figlia, lei squittiva, grugniva, faceva versetti. Non pensavo ne sarebbe stata in grado. Con lacrime di orgoglio, Aaron tenne in braccio entrambi i bimbi e si fece scattare una rapida foto prima che Paxton venisse portato via. Continuammo a concentrarci su ogni piccolo dettaglio di Carys. Aveva il singhiozzo. Ci stringeva il dito. Aveva pochi capelli rosso scuro e lunghe ciglia. Aveva delle guanciotte paffute e il doppio mento. Le manine erano grassottelle, con le fossette sulle nocche. Mi chiesi, più tardi, come un neonato di 1 kg e 3 potesse sembrare grassottello.

Presto ci portarono in postoperatoria. Poi visitammo la TIN, dove ebbi la fortuna di tenere in braccio entrambi i gemellini e scattare qualche foto. Ero felicissima. Non pensavo avrei avuto l'opportunità di tenerli in braccio entrambi, vivi. Paxton protestò un po' quando lo sollevai, ma appena fu tra le mie braccia accanto alla sorella, si calmò e assunse un'espressione pacifica. Farò tesoro di quel momento per sempre.

Poco dopo, Carys incontrò i quattro nonni, oltre a qualche zia e zio. Il nostro sacerdote ci fece visita e la battezzò. Non mi aspettavo che ce ne fosse il tempo. Avevo donato Carys a Dio già da tempo, ma ci fu qualcosa di speciale in una cerimonia formale in cui la dedicavo a Lui e accettavo i Suoi piani per lei.

Passammo quasi tutta la giornata con Carys fra le braccia. Io ero stanchissima perché non dormivo da tanto e mi avevano dato della morfina, ma non mi permisi di dormire perché non volevo perdere nessun istante della sua breve vita. Registrai, con il telefono, vari audio dei suoi versetti. Le parlammo, la coccolammo. Le parlammo del Paradiso e di tutti i nostri cari che non vedevano l'ora di conoscerla. Le raccontammo quanto fossimo grati di averla con noi e le dicemmo che le volevamo bene. La rassicurammo: poteva andare a casa, in Paradiso, se ne sentiva il bisogno. Aaron le lesse dei passaggi della Bibbia sul Paradiso. Volevo cantare per lei. Per la prima volta dalla diagnosi, riuscii a farlo senza piangere. La prima canzone che mi venne in mente fu l'inno "O Mio Cuor Calmo Sta" di Horatio T. Spafford:

"Se pace qual fiume mi inonda dal ciel
O il duolo si abbatte su me
Qualunque la sorte, ripeter potrò
O mio cuor, calmo sta in Gesù"


Carys visse nella pace per 7 ore e 13 minuti. Volò in Paradiso dalle mie braccia, con il papà accanto a lei. L'infermiera la auscultò e ci disse che non c'era battito. Se n'era andata.

Fin dalla diagnosi, in tanti avevano pregato per un miracolo. Chiedevano che fosse guarita, che la sua deformità scomparisse. In realtà, Carys fu il nostro miracolo. Dio l'aveva creata così, con intenzione e con amore. Le ore preziose trascorse con lei furono un assaggio del paradiso. Anche se non li avevo visti con i miei occhi, la pace e l'amore che avevamo sentito mentre la abbracciavamo erano tangibili. Il Paradiso ci sembrò reale e vicino, avremmo quasi potuto toccarlo. Anche quando Carys se ne andò, non ci sembrò che andasse lontano.

La nostra esperienza con l'anencefalia è stata la più bella e dolorosa delle nostre vite. In alcuni momenti mi chiesi cosa sarebbe successo se avessimo accettato quell'aborto selettivo proposto dal medico. Non mi sono mai pentita della decisione di proseguire con la gravidanza. La diagnosi di Carys non aveva diminuito il nostro amore per lei, anzi lo aveva reso più profondo. Non baratterei il tempo passato con Carys per nulla al mondo.

Per quanto Carys avesse una patologia fatale e incompatibile con la vita in questo mondo, aveva comunque uno scopo qui. Il nostro piccolo miracolo ci cambiò la vita. Non ho più paura della morte. Lei ci ha resi più vicini al Paradiso, insegnandoci più cose su amore e pace di quanto avremmo mai immaginato. A proposito, è questo il significato dei nomi Paxton e Carys: Pace e Amore, in quest'ordine. Il secondo nome di Paxton, Cole, significa "Vittoria delle genti". Il secondo nome di Carys, Rainn, significa "Abbondanti benedizioni dall'alto".

Sappiamo che la storia di Paxton e Carys Rainn non è ancora finita. Lo scopo e gli insegnamenti di Carys vivranno molto più a lungo del suo fragile corpo. Paxton crescerà conscio della sua gemella e dell'impatto che ha avuto sul mondo. Saprà che siamo grati di averlo con noi e conoscerà la parte che ha avuto nella storia di lei. Anche se abbiamo sofferto più di quanto ritenessimo possibile, ora abbiamo una nuova speranza. Siamo usciti da questa esperienza con uno scopo più chiaro per le nostre vite, e siamo pronti a raccontare la nostra storia a chiunque voglia ascoltarci. C'è ancora tanto da dire sui miracoli che sono Paxton Cole e Carys Rainn.

Dall'esterno, la nostra storia potrebbe sembrare una semplice tragedia. Se ci ripensiamo però, oltre al dolore, vediamo la benedizione. Ogni volta che piove ci ricordiamo di nostra figlia e pensiamo che dopo la pioggia arriva il sereno. La pioggia aiuta la natura a crescere più rigogliosa. La pioggia porta anche l'arcobaleno, che ci ricorda la promessa di Dio. Ora so che gli arcobaleni sono uno scorcio del Paradiso. Quando ne vedo uno penso ai gioielli sulle mura della nuova Gerusalemme, riflessi nella luce della gloria di Dio, e mi ricordo che anche noi, quando sono nati i nostri figli, abbiamo visto il Paradiso. Oggi vedo la vita e il mondo in cui viviamo in modo completamente diverso. è proprio vero, dopo la pioggia (Rainn) arriva il sereno.

Keri Kitchen

Keri è attiva anche sul suo blog. La storia di Carys e Paxton è narrata in un libro.

 

 

Ultimo aggiornamento di questa pagina : 15.12.2022