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Ira

Giugno 1974

Voglio raccontarvi la storia di Ira, perché è una storia che parla di compassione.

In una calda sera di giugno venni chiamata ad assistere a un parto. Fu un sollievo sapere che quella madre finalmente era entrata in travaglio, dato che il suo termine cadeva nella stessa settimana del mio. Mio figlio era nato con tre settimane di anticipo e ora aveva sei settimane.

Quando arrivai sul posto vidi che la madre provava le stesse sensazioni che avevo provato io. I suoi occhi brillavano, le pupille erano dilatate. Anche se era al primo figlio, assecondò le contrazioni e in poco tempo la sua cervice raggiunse la quasi piena dilatazione. Allora la visitai e scoprii che il bimbo si presentava di viso, non di testa. Quando la testolina iniziò a discendere il canale del parto, iniziammo a scorgere la bocca, perfetta, rosea e deliziosa. Durante ogni contrazione avvicinavo il dito alla bocca del bimbo e lui succhiava. Sentii una connessione speciale con quel bimbo, una possibilità di comunicare con lui prima ancora che fosse nato.

Quando finalmente uscì la testa, rimasi disorientata da quello che vidi. Subito dopo uscì il corpicino, di spalle larghe, magro, con braccia e gambe lunghe. Sembrava più un adulto in miniatura che un neonato. Mi ricomposi e osservai la testa. Gli vedevo il cervello, perché il cranio che avrebbe dovuto proteggerlo non si era mai formato. Ricordavo di aver visto qualche fotografia simile nei manuali di ostetricia, con la didascalia "mostro anencefalico". Mi chiesi se fosse giusto aiutarlo a respirare. Mi risposi subito che sì, dovevo farlo. Lui voleva vivere, era ovvio. Non potevo riprendermi il mio amore per lui solo perché aveva un aspetto diverso da tutti noi. Dopo che lo shock svanì, iniziammo a notare che in effetti assomigliava a qualcuno: ai suoi genitori. La bocca, ad esempio, era un'esatta copia in miniatura di quella della madre.

Decisi che dovevo portarlo all'ospedale. I genitori furono d'accordo. Sapevo che non sarebbe vissuto a lungo ma pensai che forse avrebbero potuto aiutarci, impiantargli un cranio di plastica, o che so io. Aveva così tante energie che scalciando quasi volò a terra dalle mie braccia - aveva una potenza insolita per un neonato. Lo affidammo a un'infermiera dall'aria gentile e tornammo a casa.

Quando, di notte, mi alzavo per allattare mio figlio, mi sorprendevo a pensare a Ira (la madre lo aveva chiamato così, le sembrava giusto dargli un nome). Circa cinque giorni dopo, i medici erano sorpresi che fosse ancora vivo, e scoprii il perché. I genitori vennero a sapere per caso che, per policy, l'ospedale non gli aveva dato nulla da bere né da mangiare da quando lo avevano preso in carico. Si trattava di una pratica piuttosto comune negli ospedali nella metà degli anni Settanta, e questi bambini solitamente morivano nel giro di qualche ora. Quando lo venimmo a sapere ne fummo sconvolti: pensavamo che dargli da mangiare fosse il minimo che potessero fare. La madre decise che voleva essere lei a prendersi cura del bimbo - dopotutto, era suo figlio.

Chiamai il pediatra e gli dissi che volevamo portare il bambino a casa. Disse che non pensava fosse una buona idea, ma firmò le pratiche e lo andammo a prendere. Alcune infermiere nella nursery avrebbero voluto nutrirlo, ma non potevano andare contro agli ordini dei medici. All'ospedale alcuni ci trattarono come degli strani hippy che vanno a prendersi il loro strambo bimbo; altri invece erano felici di vederci e credevano che stessimo facendo la cosa giusta.

Quando l'infermiera me lo mise in braccio era leggerissimo, perché da cinque giorni non mangiava né beveva. Ci sembrava un miracolo che fosse ancora vivo, e lo portammo a casa con gratitudine, sollievo e amore. Lui e i genitori rimasero a casa nostra, dove lo nutrimmo con un contagocce, visto che era troppo debole per attaccarsi al seno. Entrambi i genitori rimasero sempre con lui, sapendo che non aveva molto tempo a disposizione. La madre gli cucì dei cappellini e lo portarono in veranda a prendere un po' di sole. Non piangeva mai ma ogni tanto ci chiamava. Il mio bambino e quello di Margaret (entrambi di sei settimane) sentirono i suoi versetti e li imitarono per qualche giorno dopo la morte di Ira. Ira rimase in vita altri cinque giorni. Non era più un neonato: sembrava più un maestro vecchio e saggio. Avere in casa qualcosa di così Sacro era una benedizione.

Anche il Dr. Williams ha imparato qualcosa da lui. Parlando di bambini come Ira usava il termine medico "mostro anencefalico", ma noi gli dicemmo, "sono bambini, non mostri". Come tali vanno trattati. Aggiunsi anche, "A San Francisco, con tutti gli allucinogeni che giravano, tanti dei miei amici avevano un aspetto ben più strano". Non poté darmi torto.

Ina May Gaskin

Riproposto, previo consenso, da Spiritual Midwifery, Quarta Edizione, di Ina May Gaskin.

 

 

Ultimo aggiornamento di questa pagina : 15.12.2022